11 Maggio 2011
Studio Ue: illogico coltivare il transgenico, anche i consumatori rifiutano.


In accordo con la direttiva 2001/18 (Ce) sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, la Commissione, nel dicembre del 2008, al fine di relazionare sull’attuazione della direttiva ha invitato gli Stati membri a descrivere e valutare le implicazioni socioeconomiche della coltivazione di tali organismi, con riguardo anche alle prospettive future.
Sebbene vi sia stata larga partecipazione all’indagine, alla quale gli Stati hanno contribuito soprattutto attraverso la compilazione di un apposito questionario loro proposto, dagli apporti ricevuti non emerge un quadro chiaro e scientificamente completo delle opinioni in merito. Si tratta, infatti, di contributi - principalmente rivolti a rilevare le conseguenze economiche ricadenti sulle grandi aziende - ricavati da fonti eterogenee (studi, sondaggi, sperimentazioni), spesso privi di una necessaria rielaborazione critica, limitati a rappresentare una mera catalogazione di opinioni e basati, per lo più, su studi elaborati da Paesi terzi. Risulta, quindi, impossibile individuare chiaramente posizioni o tendenze a livello nazionale o europeo e darne una sistemazione statisticamente significativa.
Le poche conclusioni che possono trarsi dall’indagine, peraltro, mettono in risalto l’estrema variabilità degli effetti economici che si avrebbero dalla coltivazione di prodotti transgenici, legati ad una serie di fattori (dimensioni dell’azienda agricola, grado di sviluppo del Paese, tipo di varietà di Ogm coltivata) che ne rendono difficile la realizzazione. Addirittura nulli, invece, i risultati relativi agli aspetti sociali della pratica in esame.
Proprio la frammentarietà delle informazioni ricevute e la scarsa validità scientifica su cui poggia la maggior parte di esse, finiscono per rappresentare il risultato ottenuto dalla consultazione che, proprio per questa ragione, evidenzia, ancora una volta, l’impossibilità di sostenere in modo logicamente argomentato l’ipotesi della coltivazione di prodotti Ogm in Europa.
 
Anche per quanto riguarda la questione della coesistenza, analizzando i risultati dei progetti di studio promossi dalla Commissione nell’ambito del quinto e del sesto programma quadro di ricerca, si evince l’impossibilità pratica di porre in essere misure idonee di coesistenza, che richiederebbero la sussistenza di condizioni indisponibili relative alle caratteristiche delle sementi, a fattori ambientali, a pratiche locali e ad una rigida organizzazione della catena di approvvigionamento generando, peraltro, costi specifici elevati.
Si conferma, così, come più volte sostenuto da Coldiretti, la fragilità dei presupposti su cui poggiano le argomentazioni di chi promuove l’utilizzo delle colture transgeniche e l’inammissibilità di tale pratica in assenza di una solida base scientifica e di un quadro chiaro e completo delle implicazioni socioeconomiche che essa avrebbe nel quadro dell’agricoltura comunitaria.


 TRE ITALIANO SU QUATTRO CONTRO GLI OGM

L’avversione dei consumatori italiani verso gli organismi geneticamente modificati emerge ancora una volta dai risultati dell’indagine statistica realizzata da Interactive market research per il mensile Espansion, presentata a Milano nell'ambito del salone Tuttofood.
Dal sondaggio - effettuato su un campione rappresentativo di 1.000 persone - risulta che il 74% degli italiani considera sicuri, probabili o comunque non da escludere i danni alla salute per chi mangia prodotti alimentari ogm mentre il 55,8% non assaggerebbe un piatto ogm o comunque sarebbe molto in dubbio se gli fosse proposto dal suo ristorante preferito.
E non sembra trattarsi di un pregiudizio a priori, visto che per l'88% degli intervistati è importante informarsi sui risultati raggiunti dalla ricerca scientifica mentre appena il 26% considera sufficiente lo spazio che i mezzi d'informazione dedicano a questi temi e il 51,8% ritiene che le regole europee sugli ogm siano troppo permissive.
La forte contrarietà espressa nel nostro Paese verso gli organismi geneticamente modificati dà valore alla scelta lungimirante fatta dall’Italia per un’agricoltura libera da ogm; una scelta che nasce dall’impegno di un vasto schieramento che comprende Coldiretti, movimenti ambientalisti, consumatori e istituzioni in rappresentanza della maggioranza dei cittadini e agricoltori italiani, tutti contrari alle biotecnologie nei campi e nel piatto.
Per l’Italia, ai crescenti dubbi sul piano sanitario e ambientale si aggiungono quelli determinati dalla necessità di tutela del Made in Italy a tavola. Gli ogm spingono verso un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico della tipicità, della distintività e dei nostri prodotti enogastronomici.
Peraltro, in Europa - anche negli 8 paesi su 27 dove la coltivazione è ammessa - nel 2010 sono calati del 3% i terreni seminati con organismi geneticamente modificati, a conferma della crescente diffidenza nei confronti di una tecnologia che gli agricoltori europei stanno abbandonando, come dimostrano le elaborazioni Coldiretti sulla base del rapporto annuale 2010 dell’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (Isaaa).
Una conferma che nel coltivare prodotti transgenici non c’è neanche convenienza economica per gli agricoltori, ma solo per le multinazionali che li producono (come ritiene anche il 64,8% degli italiani secondo l’indagine di Interactive market research) nonostante non esista un mercato, vista la persistente contrarietà dei consumatori ad acquistare prodotti geneticamente modificati.